Nel precedente post del 23 marzo 2023, ho scritto che per sapere quanto siamo in ayni con l′universo vivente, possiamo raccogliere indizi osservando quanto siamo in ayni con i nostri simili. Se non ...leggi tutto
Nel precedente post del 23 marzo 2023, ho scritto che per sapere quanto siamo in ayni con l′universo vivente, possiamo raccogliere indizi osservando quanto siamo in ayni con i nostri simili. Se non hai ancora letto quel post, ti suggerisco di farlo prima di leggere questo.
Nel post precedente, ho detto che ho rivisto il proverbio comune “Come fai qualsiasi cosa è come fai tutto” in “Il modo in cui siamo nelle nostre relazioni con gli altri è il modo in cui siamo in relazione con l’universo vivente”. Trovo che questa affermazione sia vera in quanto non dovremmo aspettarci che l′universo vivente ci dia in ayni ciò che diamo a malincuore, o che addirittura ci rifiutiamo di dare, agli altri. Perché dovremmo aspettarci nella vita di ricevere tutto il desiderabile e cose colme di sami se non le generiamo anche noi? Ayni è un′espressione dei nostri sami e munay, ed è rivolto non solo all′autorealizzazione ma anche al benessere di coloro con cui noi siamo in ayni. Questo flusso reciproco di ayni non è un sistema in cui dobbiamo guadagnare o meritare le cose belle della vita. Non è un sistema di ricompensa e non è un sistema moralistico. È una dinamica energetica fondamentale in cui l′energia simile genera altra energia simile e attrae energia simile.
Ho appena sottolineato che ayni non è una ricompensa o un sistema di punteggio, e non è moralistico. Esiste un termine per questo tipo di interazioni nella tradizione andina—chhalay. Ayni non è chhalay, che è uno scambio puramente transazionale, e di solito mette l’interesse personale al di sopra di ogni altra cosa. Contrariamente alla credenza comune, anche l’ayni non è solo uno scambio energetico bidirezionale. È più di questo—è un processo. Ayni è 1) intenzione, 2) seguita da un’azione, 3) seguita da un feedback o retroazione di un "altro" (ritorno, risposta da una persona o dall′universo vivente che può assumere una miriade di forme), 4) seguita dalla nostra consapevolezza di quel feedback (noi comprendiamo che gli eventi, la situazione, la risposta sono il ritorno del nostro ayni) e 5) seguito da una correzione di rotta, se necessario, in risposta al feedback.
Gli ultimi due passaggi (N.d.T. 4 e 5) del processo di ayni sono quelli più spesso trascurati. Queste due parti della dinamica ayni entrano spesso in gioco quando ci aspettiamo qualcosa di “buono” e otteniamo qualcosa che giudichiamo “negativo” come risposta al nostro ayni. Quando notiamo e proviamo a comprendere il feedback (fase 4 del processo), ma non è quello che ci aspettavamo o non sembra commisurato alla nostra intenzione e azione, ci viene chiesto di completare il processo ayni eseguendo il passo 5, che è rivedere la nostra intenzione o comportamento, ciò che don Juan chiama “correzione di rotta”. Ci sono tutti i modi per farlo, dall′usare saminchakuy per rilasciare in generale la nostra hucha, al lavorare per cambiare un aspetto abituale e dannoso della personalità, al riconoscere e fare il nostro lavoro interiore per rilasciare paure, giudizi e pregiudizi che ci tengono limitati e chiusi. altri e dalla generosità e dalla benevolenza dell′universo vivente.
Possiamo comprendere più facilmente i passaggi 4 e 5 del processo ayni attivando e utilizzando i nostri tre occhi superiori: i due occhi fisici (paña ñawi e lloq’e ñawi), che ci aiutano a vedere il mondo umano sia praticamente sia razionalmente; e il nostro settimo occhio (qanchis ñawi), che è il nostro occhio pienamente mistico, il centro percettivo che ci permette di vedere i flussi di energia, in particolare gli aspetti intuitivi e non razionali della realtà. Usare questi tre ñawi insieme genera qaway, la capacità di vedere la pienezza della realtà così com′è invece di vederlo come vorremmo che fosse o come gli aspetti inconsci e consci di noi stessi colludono per creare storie dalle quali solitamente ne usciamo più belli. di quello che siamo in realtà!
Tuttavia, qaway può causare una situazione di ayni da Catch-22 [N.d.T. Catch-22 è traducibile con Comma 22 o con circolo vizioso. Si riferisce al romanzo Catch 22 di Joseph Heller in cui il paradosso riguarda una procedura che ammette un′apparente possibilità di fare scelte che, per motivi logici nascosti o poco evidenti, si riducono soltanto a un′unica possibilità].
Quindi diamo un′occhiata ad alcune delle possibilità. Attraverso qaway possiamo valutare la qualità del nostro ayni senza piegare tale valutazione a nostro favore. Tuttavia, una difficoltà nel farlo è che l’universo è generoso. Anche se la nostra ayni è debole, l’universo risponde oltre la nostra misura. Secondo la cosmovisione andina, l′universo vivente ci restituisce più di quanto diamo. Quindi, possiamo interpretare erroneamente i segnali di ayni. È nella natura umana pensare che stiamo facendo lo sforzo maggiore rispetto agli altri: studio dopo studio mostra che quando alle persone viene chiesto di confrontarsi con gli altri, tendiamo a concederci il beneficio del dubbio. Diciamo che siamo più intelligenti, più gentili, più generosi, meno critici—qualunque sia la qualità—rispetto alla persona “media”. E questo potrebbe essere vero. . . o no.
Usando qaway, possiamo essere più lucidi e quindi non sopravvalutare il sami che condividiamo con i nostri simili, e quindi con l′universo vivente. Riconosciamo che il ritorno che riceviamo dal generoso universo vivente potrebbe essere maggiore di quello che abbiamo offerto agli altri. Come possibilità, se siamo destinatari di energia sana, nutriente e colma di sami da parte degli altri, dobbiamo considerare che stiamo ricevendo più sami di quanto abbiamo dato. Come altra possibilità, se stiamo sperimentando una mancanza—se ciò che stiamo ricevendo (o siamo disposti a ricevere) dagli altri ci sembra irrisorio—allora dobbiamo diventare consapevoli del fatto che quello che offriamo può essere anche meno di quanto pensiamo di dare! In altre parole, quel poco che consideriamo irrisorio, in realtà potrebbe essere già di più di quello che abbiamo dato perché l’universo è comunque generoso con noi! Ci sono molte altre possibilità, e sollevo la questione qui, in primo piano, per fornirci un confronto con la realtà su cosa significhi comprendere il ritorno di ayni, sia dai nostri simili sia dall′universo vivente.
Nonostante queste potenziali complicazioni, valutare cosa stiamo offrendo e cosa ci permettiamo di ricevere—e come e perché—nelle nostre relazioni umane può rivelare la sensibilità della nostra consapevolezza delle dinamiche di ayni e della forza o debolezza del nostro atiy—la nostra capacità di elevarsi al di sopra di un modo di essere impulsivo e inconscio per coltivare intenzioni e azioni consapevoli e intenzionali, che sono al centro di ayni.
Don Juan Nuñez del Prado una volta fece questa dichiarazione: “Niente ti toccherà, se non lo permetti. Anche Dio deve chiedere il permesso. Ma le persone non danno il permesso a qualcosa di inconscio [dentro di loro]”. Il suo punto è che l’autoindagine e l’autoconsapevolezza sono le chiavi per valutare il nostro ayni. I nostri impulsi, bisogni, desideri, credenze inconsci e altro ancora sono ciò che determina principalmente ciò che permettiamo o limitiamo nella nostra vita umana e nelle nostre relazioni, che a loro volta possono rivelare ciò che permettiamo o limitiamo dall’universo vivente.
Ora Nadrich, coach e scrittrice di consapevolezza, afferma: “Le parole «io sono» sono potenti. Stiamo dichiarando chi siamo all’universo”. Tuttavia, penso che questa affermazione sia vera solo in parte, perché può esserci un abisso enorme tra dichiarare qualcosa e viverlo effettivamente! Il nostro kanay è la capacità mistica di sapere chi siamo veramente, ma la maggior parte di noi lo sta ancora scoprendo; quindi, il modo in cui pensiamo a noi stessi e il modo in cui “stiamo” nella nostra vita sono due cose diverse. Questo non è il luogo per discutere del lavoro junghiano sull’ombra—un’immersione profonda nella scoperta delle parti nascoste, negate o rifiutate di noi stessi—ma le nostre energie ombra di solito gestiscono il ritratto che chiamiamo “il sé”. La nostra ombra agisce continuamente! E il nostro ayni è influenzato dal modo in cui la nostra ombra ci fa pensare e muovere, specialmente nelle relazioni con i nostri simili e, per estensione, nel nostro ayni con l’universo vivente.
Per darti un esempio dei tipi di autoindagine che potremmo fare sui nostri sé ombra, e sul nostro ayni, sono una serie di domande approfondite da porci, come le seguenti:
I paqos ci dicono che utilizzando sia i nostri occhi fisico-mistici che il nostro settimo occhio puramente mistico, possiamo vedere la realtà così com′è. In termini di ayni, questi tre ñawi ci aiutano a stabilire connessioni tra il modo in cui siamo in ayni con gli altri e il modo in cui siamo in ayni con l’universo vivente. Torna alla serie di domande elencate in precedenza e osserva come “ciò a cui ti stai attaccando” e “ciò che stai rifiutando” nella tua relazione con te stesso e con gli altri potrebbero creare hucha nella tua vita umana e quindi mantenere attiva quella stessa dinamica nella tua vita. ayni con l′universo vivente. L′autrice Vera Nazarian ci ricorda questa profonda connessione bidirezionale quando scrive: “Quando raggiungi le stelle, stai raggiungendo la cosa più lontana là fuori. Quando arrivi in profondità dentro te stesso, è la stessa cosa, ma nella direzione opposta. Se raggiungi entrambe le direzioni, avrai attraversato l′universo. “
Nonostante la convinzione di Nazarian che raggiungere e arrivare in profondità siano la “stessa cosa”, c’è un aspetto importante del nostro ayni che non è sempre equamente ponderato dal punto di vista energetico: non tutto ciò che riguarda l’ayni è personale. C′è una certa misura di casualità nell′universo. Se prendiamo tutto sul piano personale, inganneremo noi stessi tanto quanto se non prendessimo nulla sul piano personale. Rivolgiamoci a don Ivan Nuñez del Prado per illuminarci su questo punto [modificato da Joan Wilcox per chiarezza]. Dice: “Nella sfera dell’ayni . . . c′è una grande parte della tua vita che è legata alle tue azioni, alla relazione con l′ambiente e alle tue connessioni umane personali. A quel livello, in quella sfera, puoi monitorare le tue azioni per vedere come hai fatto qualcosa, come si è mossa l’energia e come hai ricevuto il feedback. Ma questa è solo una sfera: la parte della realtà della tua vita, dove hai un certo controllo. Esiste un′altra sfera più elevata, casuale. Ed è legata a te ma non realmente legata al tipo di cose che fai. Hai mai sentito persone chiedere perché le cose brutte accadono alle brave persone? Ebbene, cose buone e cose brutte accadono a tutte le persone indipendentemente dal fatto che le persone siano buone o cattive. Questa è la parte casuale della nostra vita. Queste sono cose che non sono realmente connesse alle nostre azioni; quindi, non possiamo prevenirle o far accadere qualcos’altro. Una volta che la casualità irrompe nelle nostre vite—come quando ci capita un incidente—dobbiamo affrontarla e trovare un modo per sopravvivere. Ma non è necessariamente detto che tu lo abbia fatto accadere. Se pensi che tutto ciò che accade sia a causa del tuo ayni, allora inizierai a sentirti in colpa. Tutto ciò che è sotto il tuo potere è sotto la tua responsabilità ma c′è una sfera che non è in tuo potere. E quella parte deve essere accettata. Quindi, dobbiamo conoscere il nostro potere, perché è l’unico modo per conoscere la differenza [tra ciò che è il nostro ayni e ciò che è casuale]”.
Un ultimo punto. Quando si tratta sia delle nostre relazioni umane che della nostra relazione con l′universo vivente, abbiamo la libertà di scegliere come interagire con entrambi. Non esiste una formula segreta, un incantesimo magico o un rituale sacro che possa aiutarci a migliorare il nostro ayni con gli altri e con l′universo. Esiste solo la dinamica energetica tra sami e hucha. Nella tradizione andina, anche se sentiamo di ricevere hucha come feedback, non la temiamo ma impariamo a prestarle attenzione. Hucha, ricorda, non è energia negativa o dannosa; è solo sami (energia vitale) lento. L’energia lenta non può farci del male, ma avere molta hucha può ridurre il nostro potere personale. L’ayni dipende dal potere personale, che implica intenzione, volontà, azione e consapevolezza. Juan riassume magnificamente questo punto di vista nella seguente storia personale che ha condiviso: “All’inizio [dell’apprendimento di questa tradizione], non ero così gentile con molte persone e con me stesso. Lo sapevo, ma come potevo migliorare il mio modo di essere? Ho scoperto una cosa—questa non è una tradizione moralistica. Non si tratta di non fare questo, non fare quello. . . L′unico comandamento è essere consapevoli dell’ayni. Ad un certo punto, ho scoperto che quando proietto hucha, mi ritorna hucha e magari accresciuta. Quella hucha non era una punizione—era solo un feedback. Nella misura in cui inizi a scoprirlo da solo, inizierai a stare attento a ciò che proietti in ogni aspetto della tua vita”.
Vorrei aggiungere che il momento in cui inizi a comprendere l′intero processo dinamico dell’ayni non è solo il momento in cui ti prendi cura delle tue interazioni, è il momento in cui inizi a rivendicare la tua libertà. Per ripetere qualcosa che ho detto nella prima parte di questo blog: “C’è un’enorme differenza tra scegliere di non avere una relazione con qualcuno e non avere la capacità di avere una relazione (più o meno colma di sami) con una persona. Se non abbiamo la capacità di avere una relazione relativamente “giusta” con qualcuno, perdiamo la nostra libertà perché sia la scelta che il rifiuto vanno oltre le nostre capacità. Ci manca la percezione di cosa significhi essere anche in ayni con un altro essere umano”.
Lo stesso vale per il nostro rapporto con l’universo vivente. In un certo senso, possiamo vedere che sviluppare abilità nel nostro ayni nelle nostre relazioni umane è come una pratica per il nostro essere in ayni con l′universo vivente. Stiamo affinando la nostra capacità di interagire con tutto. Don Juan ha detto della nostra formazione che dobbiamo essere disposti e capaci di toccare la nostra hucha e quella degli altri, in modo da sentirci a nostro agio senza chiuderci fuori dall′esperienza della vita umana. Lo stesso vale per esercitarsi a “gustare” (percepire) l′enorme varietà di espressioni del sami nel mondo fisico. Più siamo abili nel percepire e generare sami, più siamo capaci di esplorare con entusiasmo il meno conosciuto o l′ignoto, il che amplia notevolmente i confini del mondo in cui possiamo essere in gioco.
Sono d’accordo con la dichiarazione di Eckhart Tolle: “Tu sei l’universo, che si esprime come essere umano per un po’”. Il nostro wasi—il nostro tempio—comprende entrambi gli aspetti di noi stessi: il nostro corpo e il poq′po (la nostra umanità) e il nostro Seme dell’Inka (la nostra goccia del Mistero che è l′universo vivente). Il nostro ayni è un processo energetico bidirezionale tra la nostra umanità e la nostra divinità. Credo che il sacro sé sia sempre, innanzitutto, conosciuto e riflesso attraverso la qualità della nostra umanità. Ed è per questo che penso che sia giusto affermare che il modo in cui siamo nella nostra relazione con i nostri simili è il modo in cui siamo in relazione con l′universo vivente.
(immagine di diana_mironenko su Freepik)