[Dall′Archivio - 1 giugno 2022]
[Dall′Archivio - 1 giugno 2022]
La resilienza, in questo senso, dipende dal qaway, dalla nostra capacità di vedere la realtà così com’è, il che significa con una certa misura di equanimità. Esistono due definizioni comuni di equanimità: “calma mentale, compostezza ed equilibrio di carattere, specialmente in una situazione difficile” e “capacità di riprendersi o adattarsi facilmente alla sfortuna o al cambiamento”. Attraverso il qaway, riconosciamo la “realtà” di ciò che sta accadendo “là fuori” e “qui dentro”, senza distorcerlo o negarlo, e attraverso quella chiarezza raggiungiamo una misura di distacco energetico che ci consente di scegliere un approccio agile ed efficiente, una risposta produttiva e adeguata. A volte la risposta appropriata è scegliere di essere non reattivi e logici, oppure mostrare autocontrollo e moderare le nostre emozioni, parole e azioni. A volte significa esprimere la nostra volontà stabilendo con forza un confine e dicendo “No!” O forse è abbandonarsi al dolore o alla disperazione e permetterci di sentire questo momento straziante della nostra umanità. Qaway ci permette di essere chi siamo veramente e di vedere gli altri e il mondo per chi e cosa sono veramente. Certo, questo non è un compito così facile, dal momento che molto spesso operiamo partendo dalle nostre ombre psicologiche e siamo innescati o proiettiamo sugli altri. Tuttavia, la resilienza ci consente di affrontare ciò che è e di non opporre resistenza o essere sopraffatti da esso.
Ultimamente ho pensato alla resilienza alla luce degli eventi mondiali, dalle questioni globali come la recente pandemia e la guerra in Ucraina, alle tragedie nazionali come l’epidemia di violenza armata e omicidi di massa negli Stati Uniti. La poetessa e scrittrice Maya Angelou, ora deceduta, viveva in una città vicina alla mia. Ho letto i suoi lavori a scuola, ma ho osservato di persona il suo comportamento. Le poche volte in cui ho interagito con lei o l′ho osservata, sono sempre stata consapevole di un′aura di calma e centralità intorno a lei. Ha avuto una vita difficile e una delle sue battute più citate deriva dalla sua esperienza vissuta e dalla sua resilienza alle sfide della vita: “Posso essere cambiata da ciò che mi accade. Ma mi rifiuto di lasciarmi sminuire da esso”. Queste due frasi catturano l’essenza di ciò che significa essere resilienti.
Una visione strettamente correlata è stata espressa da Helen Keller: “Sebbene il mondo sia pieno di sofferenza, è anche pieno di superamento della stessa”. Certamente possiamo superare le cose, a volte in modi davvero sorprendenti e quasi incredibili. Essere un “sopravvissuto” è un risultato, diverso dal pensare di essere “vincitori” anche se superare qualcosa è sicuramente una sorta di vittoria. Possiamo sopravvivere, magari essere travolti dai nostri traumi e tuttavia non perdere noi stessi o il senso del nostro kanay, di chi siamo veramente e del potenziale del nostro Seme dell’Inka. Ma senza resilienza—senza la capacità di riprendersi e adattarsi—sembra quasi impossibile superare qualsiasi sfida o tragedia significativa senza esserne feriti.
Penso che la lotta basilare che molti di noi affrontano, quando riflettiamo sui tanti eventi difficili e persino tragici a livello mondiale e nazionale che si verificano in questo momento, non è la lotta per conciliare il bene e il male o il giusto e lo sbagliato ma la sfida di mantenere consapevole la nostra scelta di resilienza oltre la rassegnazione. Inquadrare le difficoltà e perfino i traumi in termini di resilienza aiuta a tenere a bada i sentimenti di rassegnazione. Senza rassegnazione, possiamo vedere che ciò a cui stiamo assistendo nel nostro mondo rappresenta più l’energia del “superare” che del “soccombere”. Che cosa rappresenta la forza del popolo ucraino se non la sua incredibile dimostrazione di resilienza? Perché preghiamo per i genitori dei bambini in età scolare assassinati se non perchè possano mostrare la loro resilienza a fronte di una perdita così straziante? Quando scegliamo di fare saminchakuy ogni giorno, o anche hucha miqhuy, cosa stiamo cercando di più se non il potere personale di seguire la bussola interiore del nostro Seme dell’Inka, che ci dirige attraverso le notti oscure dell′anima verso la luce delle nostre più grandi capacità, anche della nostra grandezza umana?
Il mondo umano – il kay pacha – è un mondo sia di sami che di hucha. Siamo esseri sia di sami sia di hucha. Eppure, abbiamo nel nostro corpo mistico due centri di puro sami: il nostro Seme dell’Inka (la sede della nostra volontà) e il nostro sonqo ñawi (l′occhio del nostro cuore/sentimenti). Attraverso entrambi loro percepiamo e scegliamo. Ai due estremi, proviamo disperazione o speranza, e scegliamo la sconfitta o la resistenza. Quando integriamo i nostri sentimenti e la nostra volontà, essi diventano una fonte singolare della nostra resilienza: attraverso il loro potere navighiamo negli spazi intermedi, dove si svolge la maggior parte della vita. Insieme, come fonte della nostra resilienza, sono ciò che ci tira su indipendentemente da ciò che sta cercando di tirarci giù. Sono ciò che ci permette di mettere in campo il nostro potere personale e dichiarare, citando ancora una volta Maya Angelou: “Potresti spararmi con le tue parole / Potresti tagliarmi con i tuoi occhi / Potresti uccidermi con il tuo odio / Ma comunque, come l′aria, mi alzerò."
(immagine da Freepik)