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Categoria: Q′enti Wasi

  • Raffinare l’energia attraverso gli Ñawis

    Raffinare l’energia attraverso gli Ñawis

    RAFFINARE L’ENERGIA ATTRAVERSO GLI ÑAWIS

    di Joan Parisi Wilcox; traduzione Gianmichele Ferrero – Dall`Archivio 22/10/2023

    Nel post del mese scorso abbiamo parlato di virtù – ovvero di coltivare la tolleranza, la gentilezza e l’interesse per il benessere nostro e degli altri. Ho descritto come la virtù non sia solo un valore morale che abbiamo, ma sia la pratica attiva di quel valore. “Un valore è una scelta su chi vogliamo essere. La virtù, come ayni, è un’applicazione della volontà per applicare quel valore – o un insieme di valori – per rivelare come effettivamente ci presentiamo nel mondo”.

    In questo lungo post, voglio dare seguito a questo pensiero con una discussione su una dinamica energetica per sviluppare la nostra virtù e affinare il modo in cui ci presentiamo nel mondo. Il processo coinvolge i nostri ñawi (i nostri occhi mistici) e una capacità chiamata qaway – visione chiara, che sviluppiamo e a cui accediamo dai tre ñawi più alti: l`occhio fisico destro o paña ñawi, l`occhio fisico sinistro o lloq’e ñawi, e il settimo occhio al centro della nostra fronte, il qanchis ñawi (quello che in alcune altre tradizioni viene chiamato il terzo occhio). Qaway, come ha detto don Juan Nuñez del Prado, “vede la realtà così com’è”.

    Per essere come il colibrì in quanto portatore di sami, piuttosto che essere solo il condor che mangia jucha, dobbiamo praticare la virtù senza proteggerci anche dalle dure realtà del mondo umano. Sebbene l’ottimismo sia un valore degno, non serve a nessuno se indossiamo occhiali color rosa. Vedere chiaramente significa affrontare la pesantezza umana – e persino gli orrori – che ci infliggiamo a vicenda.

    Può essere emotivamente difficile concentrarsi sulla nostra pesantezza. Tuttavia, se non saremo testimoni della nostra pesantezza e di quella dell’umanità, non potremo coltivare la volontà di lavorare per il cambiamento interiore ed esteriore. Coltivando qaway, rafforziamo la nostra capacità – e anche la nostra volontà – di vedere ciò che è reale, non importa quanto sia difficile. Sviluppando e utilizzando qaway, non solo comprendiamo più accuratamente ciò che sta accadendo, ma rafforziamo anche la nostra capacità di non essere colpiti – o portati alla disperazione – dalle circostanze e dalle condizioni. Qaway ci permette di riconoscere l’jucha – e persino la depravazione e il male umani – ma non di esserne sopraffatti. Don Juan ci consiglia che solo rivolgendoci alla pesantezza umana possiamo rafforzarci per affrontare in modo spassionato il mondo così com`è. Come disse una volta l’ex giudice della Corte Suprema William J. Brennan: “Dobbiamo affrontare la sfida piuttosto che desiderare che non sia davanti a noi”.

    Qaway è un potere energetico che ci aiuta ad affrontare le sfide. È una capacità distribuita tra i tre ñawi più alti. Il qanchis ñawi consente una visione mistica e creativa: vedere il mondo dell`energia, dei poq’po, dei seqe e degli esseri spirituali, nonché informarci attraverso visioni, immaginazione, sogni e intuizioni creativi. I due occhi fisici aggiungono capacità energetiche più terrene alla composizione. L`occhio destro (paña ñawi) ci aiuta misticamente a vedere ciò che accade intorno a noi e a rispondere con razionalità e yachay (conoscenza e saggezza che possono arrivare solo attraverso l`esperienza personale). Ci aiuta a vedere oltre tutti i dati estranei, i drammi e le deviazioni in modo da poter concentrarci sui fatti rilevanti della questione. Una volta compreso il nocciolo della questione, gli aspetti mistici dell’occhio sinistro (lloq’e ñawi) ci aiutano a rispondere con praticità e llank’ay (azione). Invece di essere sopraffatti da una serie vertiginosa di possibili risposte, cogliamo rapidamente gli elementi essenziali del problema e rispondiamo nel modo più efficiente ed efficace per affrontare, diffondere o risolvere la situazione. Se possiamo imparare a elaborare simultaneamente l’input di tutti e tre questi ñawi superiori, allora, anche se siamo testimoni della pesantezza umana, possiamo pensare, sentire e agire con maggiore comprensione, efficacia, impatto, sobrietà e tolleranza.

    Un modo per sviluppare qaway è muovere la nostra energia dalla base del corpo – dal siki ñawi (l`occhio mistico alla radice del corpo) – attraverso tutti i ñawi fino a raggiungere la parte superiore del corpo e i tre occhi mistici superiori. Questo è un viaggio energetico lungo e solitamente difficile. Ci chiede di essere consapevoli di noi stessi e auto-motivati. Ma ne vale la pena, perché se non aumentiamo la nostra energia per usare il nostro qaway, invece di portare sami nel mondo tendiamo a generare più pesantezza. Vorrei fornire un esempio tratto dalla guerra tra Israele e Hamas.

    Quando la distruzione è piovuta sul cortile dell’ospedale arabo Al-Ahli a Gaza, la risposta, giustamente, è stata di indignazione e orrore per le centinaia di morti e feriti inutili tra i civili. La risposta successiva per decine di migliaia di persone nella regione e in tutto il mondo è stata – senza alcuna prova forense o di altro tipo – la condanna di Israele per aver bombardato deliberatamente o erroneamente un obiettivo civile. La convinzione che la colpa fosse delle forze di difesa israeliane ha suscitato inviti alla protesta e una spinta alla ritorsione. Quella reazione è stata una risposta puramente siki ñawi, come di solito accade quando siamo scioccati, indignati o traumatizzati.

    Il siki ñawi è il luogo delle nostre energie impulsive e istintive, della nostra cruda umanità e del nostro istinto di sopravvivenza. Sebbene questa energia di solito non venga esaminata e quindi sia inconscia per noi, viene avvertita in modo potente quando viene stimolata da cose come un forte desiderio primordiale o una percezione di minaccia. Quando questa energia esplode, attiva il nostro atiy – la nostra capacità di azione – e l’energia scorre dal siki fino al qosqo ñawi – l’occhio del ventre o ombelico, che è il nostro centro di potere primario da cui poi agiamo. Se percepiamo una minaccia e la necessità di difenderci attraverso il siki ñawi, agiamo per contrastare la minaccia percepita e difendere noi stessi e i nostri cari attraverso l`energia del qosqo ñawi. Ci sono momenti in cui dobbiamo mobilitare queste energie, in cui è necessario difenderci. Tuttavia, troppo spesso l’energia del siki ñawi divampa perché abbiamo erroneamente percepito qualcuno o qualche evento come un nemico o una minaccia quando, in realtà, non lo erano. A volte non aspettiamo di determinare chi è responsabile e invece reagiamo sconsideratamente scagliandoci contro qualcuno, chiunque. Quel qualcuno o chiunque di solito è una persona o un gruppo contro il quale già nutriamo pregiudizi e verso il quale proviamo già sospetto o animosità. Quindi, il processo energetico del siki ñawi nei suoi aspetti che inducono hucha è una reazione impulsiva, quasi animalesca, che di solito è slegata dal nostro yachay (razionalità).

    Cosa dobbiamo fare? Possiamo allenarci a spostare l`energia dei nostri impulsi di base verso i ñawi superiori e darci l`opportunità di raffinare l`energia in modo da agire in modo meno duro, improduttivo o addirittura errato. Don Juan chiama questo processo di raffinazione delle nostre energie, “addomesticare” la nostra “selvaggità”. Essendo la nostra natura selvaggia, gli impulsi del siki ñawi più animaleschi sono eccessivamente emotivi e non razionali. Se riusciamo a spostare queste energie fino ai tre occhi superiori, possiamo stimolare la nostra capacità di vedere chiaramente. Nel caso della tragedia dell’ospedale di Gaza, farlo avrebbe significato alleviare la sofferenza dei feriti, trattenendo al tempo stesso la colpa su chi e cosa ha causato la distruzione finché non fossero state disponibili le prove per farlo in modo razionale. Si scopre che le prove attuali suggeriscono, non in modo conclusivo ma convincente, che la distruzione è stata causata non da una bomba sganciata dagli israeliani, ma da un missile fatto male da un gruppo jihadista solidale con Hamas.

    Questa è stata una situazione attuale in cui il qaway – visione chiara – era tristemente carente. Tutti possiamo citarne innumerevoli altri. Questo tipo di reazione impulsiva è spiacevole, sebbene comprensibile, poiché ci sono tanti modi in cui noi, nella nostra umanità, ci impediamo di affinare le nostre energie del siki ñawi. All’indomani della tragedia dell’ospedale di Gaza, farlo non avrebbe attenuato la nostra indignazione e il nostro dolore per la perdita di vite umane, ma avrebbe impedito che pregiudizi e falsità diventassero ulteriore benzina sul fuoco del conflitto.

    Seguendo questo esempio, in che modo la nostra energia del siki spostata attraverso gli altri ñawi influenza le nostre potenziali reazioni a eventi come minacce e sfide? Proviamo a spostare l`energia e percepiamolo.

    Il ñawi successivo è il qosqo ñawi, l`occhio dell`ombelico o del ventre. Questo è il nostro centro di potere primario, da cui agiamo nel mondo. La capacità principale del qosqo è il khuyay, una passione che ci motiva a fare le cose nel mondo e a persistere anche quando il gioco si fa duro. Khuyay è anche legato a ciò che chiamiamo la nostra intelligenza emotiva, in particolare al modo in cui creiamo attaccamenti emotivi. I nostri attaccamenti a persone, gruppi, credenze, opinioni, idee, cause e così via possono essere sani o malsani, pieni di sami o induttori di jucha. Esaminando questi aspetti del nostro khyuay e del nostro potere personale, possiamo sondare il modo in cui agiamo nel mondo. Le nostre relazioni sono di supporto o di controllo? Siamo ostinatamente attaccati a una convinzione anche quando i fatti la contrastano? Siamo addormentati rispetto ai nostri pregiudizi, ma svegli rispetto a quelli degli altri? Se riusciamo a fare un po’ di chiarezza sui molti tipi di attaccamenti che abbiamo (e su come e perché li creiamo), allora possiamo usare la nostra volontà per fare altre scelte su come usare il nostro potere personale. Nel caso della tragedia dell`ospedale forse avremmo potuto constatare che l`attribuzione di colpe e la sollevazione di inviti a protestare erano prematuri poiché non esisteva ancora alcuna prova che indicasse chi fossero i responsabili. Invece, in preda a un impulso del siki, molte persone erano ciecamente attaccate alle proprie animosità e pregiudizi, il che portava a presupposti e azioni errate che aumentavano le ostilità.

    Possiamo affinare la nostra energia del siki ancora più in alto, dal qosqo al sonqo ñawi. Questo è l`occhio mistico del cuore o, più precisamente, l`occhio dei nostri sentimenti. Avendo impegnato il nostro potere personale nel qosqo per diventare consapevoli dei modi spesso non esaminati (e malsani e persino distruttivi) in cui siamo ciecamente attaccati a gruppi, idee, credenze e così via, ora possiamo sfruttare la capacità del munay per far valere il nostro potere personale sull’impulso del qosqo.

    Munay viene solitamente tradotto dal quechua come “amore”. Una traduzione migliore è “amore secondo la nostra volontà”. Munay implica la scelta consapevole di coltivare la gamma di sentimenti associati all`essere amorevoli, come tolleranza, rispetto, gentilezza e compassione. Munay non ci chiede di piacere a tutti, ma ci chiede di non odiare nessuno. Munay, anche nella sua espressione più tenue, è trasformativo.

    Un modo in cui la trasformazione potrebbe svolgersi è il seguente. Avendo spostato la nostra indignazione per un’ingiustizia dal siki ñawi al qosqo, abbiamo domato l’impulso verso una reazione sconsiderata o addirittura violenta scegliendo come usare il nostro potere. Così non ci lasciamo controllare dalla nostra indignazione ma invece esercitiamo un certo controllo personale su di esso. Ci sentiamo ancora indignati per l’ingiustizia, ma invece di demolire tutto con rabbia selvaggia, possiamo indirizzare le nostre energie in un modo più produttivo per far pendere la bilancia verso azioni che supportino sia una ragionevole responsabilità che una maggiore giustizia. Quando poi quell’energia si sposta nel sonqo, possiamo mitigare ulteriormente la nostra indignazione usando deliberatamente la nostra volontà per portare compassione nell’equazione. Non dobbiamo condonare un’azione, ma possiamo iniziare a generare sami verso entrambe le parti: per coloro che soffrono a causa dell’ingiustizia e per coloro che per qualsiasi motivo hanno razionalizzato il loro bisogno di perpetuarla. Questa equanimità è la porta verso la trasformazione. Munay ci aiuta a costruire un ponte dal nostro sé grezzo e non sviluppato al nostro sé più consapevole ed equanime.

    Il ñawi successivo è il kunka ñawi, l`occhio del collo. Le due capacità principali qui sono yachay e rimay. Yachay è ciò che conosciamo e comprendiamo attraverso l`esperienza diretta. Le nostre esperienze e il significato che diamo ad esse ci hanno portato a essere nel mondo in modi particolari che ci rendono quello che siamo, diversi da tutti gli altri. Rimay è la nostra capacità di comunicare ciò che sappiamo e chi siamo con chiarezza e integrità.

    Quando la nostra indignazione viene mitigata attraverso il kunka ñawi dallo yachay, la nostra percezione di ciò che causa lo sdegno si trasforma da un ambito astratto a quello personale. Sia attraverso il munay sia attraverso lo yachay, siamo in grado di identificarci indirettamente sia con coloro che perpetrano l’ingiustizia sia con coloro che ne sono soggetti. La nostra ipocrisia è attenuata dalla consapevolezza che in qualche momento tutti noi abbiamo abusato del nostro potere e agito ingiustamente nei confronti degli altri, e tutti siamo stati sul punto di essere trattati ingiustamente. Attraverso questa personalizzazione, possiamo ammettere che tutti abbiamo jucha e abbiamo agito in base a quella pesantezza. Siamo in grado di sentire e comprendere in modo più vero, profondo e onesto il fatto che siamo tutti esseri umani imperfetti. E con questa comprensione, possiamo ricercare la responsabilità in un modo più produttivo: invece di schierarci, possiamo mettere da parte le nostre preferenze e iniziare a considerare la necessità di una riconciliazione tra le parti. Possiamo usare la nostra energia per lavorare verso la comprensione delle ferite profonde alla base del conflitto. Senza dubbio entrambe le parti hanno contribuito al conflitto, quindi entrambe le parti devono essere parte della soluzione. La comunicazione passa da unidirezionale a bidirezionale. Questo è il dono del rimay, l`altra capacità del kunka ñawi. Il potere del rimay si incarna nell’onestà e nell’integrità con cui ci esprimiamo e permettiamo agli altri di esprimersi. Rimay dice la verità, pur riconoscendo che potrebbe esserci un abisso tra la nostra verità e quella di un altro. Yachay e rimay insieme fanno spazio ad entrambe le verità e rivelano il terreno comune tra i due.

    L`elevazione finale dei ñawi avviene verso i tre occhi superiori, i due occhi fisici e il settimo occhio, che insieme conferiscono la capacità del qaway, la chiara visione. Seguendo il nostro esempio, quando la nostra indignazione raggiunge i ñawi superiori, sentiamo ancora il dolore di una tragedia, ma non ne siamo assorbiti. Attraverso il qaway possiamo, come dice don Ivan Nuñez del Prado, librarci al di sopra della tempesta: la vediamo chiaramente sotto di noi come presente e reale, ma non siamo travolti dalla sua furia. Dal punto di vista del qaway, il mondo si sente e appare diverso perché sentiamo e vediamo non solo con i nostri occhi umani ma anche con tutti e sette i nostri ñawi, i nostri occhi metafisici. Siamo del mondo ma non nel mondo, almeno per un certo periodo, e possono sorgere una serie di intuizioni per aiutarci a trovare la nostra strada quando ci sentiamo persi e portare luce sia alla nostra oscurità interiore che a quella esteriore.

    Il mondo fisico umano e il regno metafisico dell’energia vivente sono in relazione yanantin: sono diversi ma complementari. Se riusciamo a sviluppare il qaway, alla fine potremo raggiungere un japu, una perfetta armonizzazione di questi due aspetti della realtà. Percependo da entrambi i regni – quello fisico e quello metafisico – raddoppiamo la nostra capacità di intuizione creativa, comunicazione onesta ed efficace e azione produttiva. Possiamo diventare chakaruna, costruttori di ponti. Possiamo realisticamente riconoscere la hucha che allontana le persone e usare abilmente le nostre energie per promuovere il sami che aiuta ad unire le persone. Invece di alimentare le energie della separazione e della condanna, lavoriamo con le energie della riconciliazione e della comprensione. Questo è veramente il modo in cui camminiamo non tra due mondi, ma contemporaneamente in entrambi i mondi.

    (immagine da Freepik)

  • Un Paqo in un mondo turbolento

    Un Paqo in un mondo turbolento

    UN PAQO IN UN MONDO TURBOLENTO

    di Joan Parisi Wilcox; traduzione Gianmichele Ferrero – Dall`Archivio 26/09/2023

    Recentemente, gli studenti e i colleghi paqo di diverse classi in cui insegno o co-insegno hanno espresso il loro sgomento per lo stato del mondo, in particolare per lo stato dell’universo dell’informazione creato da podcaster, esperti di mezzi di informazione e politici negli Stati Uniti. Chiedono: “Come siamo arrivati a questo livello di lamentela, esagerazione, menzogna, vergogna, ostracismo, tribalismo, rabbia e persino violenza? E come possono così tante persone essere influenzate, persuase, persino ingannate dalle stravaganti teorie del complotto e dalla disinformazione facilmente confutabile che inonda il panorama online e le vie televisive? Che cosa è successo alla logica e alla ragione, al dibattito e al compromesso? Quando abbiamo perso il rispetto per gli standard morali, la tolleranza e la semplice vecchia cortesia?

    Buone domande. Non ci sono risposte facili, ma queste conversazioni mi hanno spinto a pensare alle buone maniere vecchio stile. E questo mi ha portato a pensare al valore umano chiamato “virtù”, che non solo è fuori moda, ma per gli standard odierni sembra decisamente vittoriano.

    Don Juan Nuñez del Prado e suo figlio, don Ivan, hanno detto che per sviluppare meglio il munay, faremmo bene a sviluppare prima la virtù (tra alcuni altri valori). La virtù, per definirla nel modo più diretto e semplice possibile, è un comportamento alimentato da elevati standard morali. La moralità, ovviamente, è un concetto difficile da definire, poiché di solito nasce da una visione del mondo o addirittura da un dogma organizzato. Esistono vari “universi morali”. In termini di virtù, c’è il senso religioso della virtù, il senso umanistico della virtù, il senso ateo della virtù, il senso utilitaristico della virtù e così via, compresi gli standard che adottiamo non da un sistema di autorità stabilito ma dal nostro sistema di valori individualistico. Quindi, quando parliamo di virtù come di elevati standard morali, dobbiamo chiederci a quale standard stiamo cercando di conformarci?

    Per rispondere a questa domanda, mi rivolgo al punto di vista di un gruppo di professori dell’Università di Santa Clara, coautori dell’articolo “Etica e virtù”. Scrivono: “Per molti di noi, la questione fondamentale dell`etica è: `Cosa dovrei fare?` o `Come dovrei agire?` Si suppone che l`etica ci fornisca `principi morali` o regole universali che ci dicano cosa dobbiamo fare. Fare. Molte persone, ad esempio, sostengono con passione il principio morale dell`utilitarismo: “Ognuno è obbligato a fare ciò che porterà il massimo bene per il maggior numero di persone”. Altri sono altrettanto devoti al principio fondamentale di Immanuel Kant: “Ognuno è obbligati ad agire solo in modo da rispettare la dignità umana e i diritti morali di tutte le persone.`”

    Questi studiosi poi si chiedono: “Ma sono i principi morali tutto ciò in cui consiste l’etica? I critici hanno giustamente affermato che questa enfasi sui principi morali sa di un culto sconsiderato e servile delle regole, come se la vita morale fosse una questione di controllare scrupolosamente ogni nostra azione rispetto a una tabella di cose da fare e da non fare. Fortunatamente, questa ossessione per i principi e le regole è stata recentemente contestata da diversi studiosi di etica, i quali sostengono che l’enfasi sui principi ignora una componente fondamentale dell’etica: la virtù”.

    Elencano alcune “virtù” – onestà, coraggio, compassione, generosità, fedeltà, integrità, correttezza, autocontrollo e prudenza – e spiegano che la virtù non è qualcosa che scegliamo sulla base di un`idea o di un ideale, ma è qualcosa che sviluppiamo attraverso la nostra esperienza. (Sto mettendo insieme vari punti che fanno nel paragrafo seguente.) “Le virtù si sviluppano attraverso l’apprendimento e attraverso la pratica. Le virtù sono abitudini. Cioè, una volta acquisiti, diventano caratteristici di una persona. Al centro dell’approccio virtuoso all’etica c’è l’idea di “comunità”. I tratti caratteriali di una persona non si sviluppano isolatamente, ma all’interno e attraverso le comunità a cui appartiene, tra cui la famiglia, la chiesa, la scuola e altre comunità private. e associazioni pubbliche. La vita morale, quindi, non è semplicemente una questione di seguire regole morali e di imparare ad applicarle a situazioni specifiche. La vita morale è anche questione di cercare di determinare il tipo di persone che dovremmo essere e di occuparci dello sviluppo del carattere all’interno delle nostre comunità e di noi stessi”.

    Questa spiegazione somiglia molto a ciò che la tradizione mistica andina chiama ayni. Ayni è spesso tradotto come reciprocità, ma dobbiamo immergerci un po’ più a fondo per discernere il suo significato più ampio. Ayni è intenzione unita ad azione, a cui seguono sia la consapevolezza che ci sarà un risultato sia una nuova azione/risposta commisurata in relazione a quel risultato. Per le popolazioni indigene andine e quechua, ayni è un valore che serve, tra gli altri scopi, a rafforzare la coesione sociale. Quando cerchi le varie definizioni oltre la reciprocità, ayni si riferisce a fare un favore e restituirlo, o fare qualcosa per qualcuno senza aspettarsi nulla in cambio (sebbene la dinamica energetica sia che l`universo vivente ti restituirà sami). Quindi ayni coinvolge sempre sé e gli altri, in modo tale che le nostre scelte siano basate sulla considerazione di come entrambe le parti possono trarne vantaggio. Ayni come applicazione della virtù, quindi, è un valore vissuto. Un valore è una scelta su chi vogliamo essere. La virtù, come ayni, è un`applicazione della volontà per applicare quel valore, o gruppo di valori, per rivelare come effettivamente presentiamo nel mondo.

    Come CS Lewis ha spiegato la relazione tra un valore e una virtù (come presentato da Terry Glaspey nella sua recensione degli insegnamenti di Lewis, Not a Tame Lion), “Un `valore` è un`idea che abbiamo in testa su come dovrebbero essere le cose, è un termine moralmente neutro che specifica una preferenza. La “virtù”, d’altra parte, è una qualità del carattere che porta all’azione. Troppo spesso i valori sono qualcosa su cui discutiamo solo; la virtù è un modo di vivere”.

    Anche il Buddha ha qualcosa da dire sulla virtù come azione: “Proprio come i tesori vengono scoperti dalla terra, così la virtù appare dalle buone azioni e la saggezza appare da una mente pura e pacifica. Per camminare sicuri nel labirinto della vita umana, c’è bisogno della luce della saggezza e della guida della virtù”.

    La virtù, come una sorta di ayni, è un trampolino di lancio verso il munay, perché il munay non è l`emozione dell`amore, ma la scelta dell`amore. È amore secondo la tua volontà. CS Lewis (sempre tramite Glaspey) dice che dovremmo diffidare delle nostre emozioni, perché sono fugaci e mutevoli. “[S]e aspettassimo di agire con virtù finché ne abbiamo voglia, potremmo aspettare per un tempo molto lungo. Non dobbiamo sentirci caritatevoli per agire con carità. Potrei non provare amore per un vicino difficile, ma potrei essere chiamato ad aiutarlo”.

    Sia che chiami questo valore virtù sia che lo chiami ayni, è chiaro che è molto necessario nel mondo oggi. Invece di praticare valori comunemente condivisi, tendiamo a essere immersi in una sorta di relativismo morale in cui non c’è consenso sulle convenzioni in base alle quali misuriamo le nostre parole e azioni come utili, utili ed edificanti o meno. Al limite, sembra esserci una totale assenza di consapevolezza della necessità di norme morali. Nonostante la complessità di qualsiasi discussione sugli standard morali, penso che possiamo essere tutti d’accordo sul fatto che quando manca la sensibilità morale, vacilliamo sul precipizio non solo del caos sociale, ma anche del tumulto interiore personale. Come scrive Yeats nella sua poesia “The Second Coming”: “Le cose vanno in pezzi; il centro non può reggere; / La semplice anarchia si scatena sul mondo, / La marea offuscata dal sangue si scatena, e ovunque / La cerimonia dell`innocenza è soffocata; / I migliori mancano di ogni convinzione, mentre i peggiori / Sono pieni di intensità appassionata.

    Assomiglia molto al nostro mondo di oggi. . .

    Questo “centro” è il nostro centro morale, la capacità di valori condivisi che ci elevano e alimentano sia la nostra evoluzione individuale sia quella della nostra umanità collettiva. L’individuo non può essere separato dal collettivo senza perdere una qualità essenziale di ciò che significa essere umani: ognuno di noi è il custode di nostro fratello e nostra sorella. Se l’ayni ci insegna qualcosa, sicuramente è questo.

    Un chakaruna nella tradizione andina è colui che costruisce ponti: tra se stesso e gli altri, tra comunità, tra tradizioni, tra cielo e terra. Quando due gruppi si trovano separati da un fiume turbolento, ciascuno dei quali si riunisce su sponde opposte, il chakaruna – attraverso l`applicazione della volontà, dell`ayni o della virtù – inizia a costruire un ponte.

    Con questo pensiero in mente, forse nel profondo non è la nostra delusione o disperazione per l’assalto mediatico di disinformazione e la nostra sfiducia (o disgusto) verso le persone che la creano e la perpetuano a disturbarci davvero. Forse, nel profondo, il nostro disagio è che stiamo assistendo, in modi senza precedenti, al distacco dell’individuo e delle “tribù” in guerra dalla consapevolezza delle nostre responsabilità personali e collettive per essere ciascuno membri produttivi e compassionevoli di una famiglia umana. La disintegrazione della coesione sociale può portarci su due strade: o porta a una dissoluzione potenzialmente disastrosa dei legami collettivi o alla nostra trasformazione collettiva. Il nostro disagio, in questo momento, potrebbe essere che la questione verso quale obiettivo stiamo correndo è del tutto aperta.

    Quindi, nelle nostre brevi discussioni su questi argomenti in classe, i miei studenti e i miei compagni paqos e io tendiamo a concordare sul fatto che esiste un solo approccio certo. Non è un’intuizione sconvolgente. È l’antico adagio che abbiamo sentito da Buddha, Cristo, Gandhi e tanti altri: assumiti la responsabilità di te stesso.

    Se ognuno di noi sceglie di essere portatore di sami piuttosto che di hucha, di essere chakaruna – se scegliamo di coltivare il nostro munay e migliorare il nostro ayni (e di agire secondo virtù in qualunque misura possibile) – allora ognuno di noi sta intraprendendo un vero e proprio cammino. atto rivoluzionario, e senza dubbio anche evolutivo. La sola intenzione non è sufficiente. Senza azione, non pratichiamo né ayni né virtù. Ritirarsi dalla sfera sociale o politica è certamente un’opzione, ma che, a mio avviso, significa un’abdicazione alla responsabilità sia personale che collettiva. Nessuno di noi può prosperare da solo. Ma non possiamo prosperare collettivamente se non accettiamo di onorare la nostra comune umanità, che inizia con il trattarci a vicenda con tolleranza, compassione, umiltà e gentilezza.

    Come dico ai miei studenti: “Non è necessario che ti piacciano tutti o che tu sia amico di tutti, ma puoi essere in grado di portare una certa misura di sami in ogni interazione, non importa quanto impegnativa o difficile”. Alcuni di noi scelgono di non farlo. Ma alcuni di noi, a causa del nostro stato di coscienza e della quantità di hucha che portiamo con noi, non sono in grado di farlo. Se non siamo in grado di farlo, la scelta cessa di essere un fattore determinante e perdiamo parte del nostro potere personale. Se ne siamo capaci (malgrado le nostre umane emozioni), allora abbiamo acquisito una maggiore libertà personale.

    (immagine di vecstock su Freepik)

  • La vita come percorso spirituale

    La vita come percorso spirituale

    LA VITA COME PERCORSO SPIRITUALE

    di Joan Parisi Wilcox; traduzione Gianmichele Ferrero – Dall`Archivio 7/01/2023

    “Ci sono due grandi giorni nella vita di una persona—il giorno in cui nasciamo e il giorno in cui scopriamo il perché”.

    —William Barclay

    A volte le persone mi interrogano sulla scelta di un percorso spirituale, come se ci fossero più scelte. Ma per ognuno di noi esiste una sola strada—la nostra vita. Il modificatore “spirituale” non è necessario e, in realtà, è ridondante. La radice centrale della parola “spirito” significa respirare—essere vivo, essere riempito con la forza vitale che anima la materia fisica. Secondo la visione mistica andina siamo allpa camasca: terra animata. Credo che sia saggio per noi onorare quella verità fondamentale: ogni vita è una vita spirituale per il fatto che è una vita. Quindi, in questa prospettiva, non scegliamo un percorso spirituale, diventiamo consapevolmente consci della natura di quello che stiamo vivendo.

    Detto questo, capisco che quando le persone chiedono informazioni su un percorso spirituale, in realtà chiedono una metodologia o un quadro filosofico attraverso il quale approfondire la connessione cosciente con la propria vita. Usano la parola “spirituale” in senso gnostico: per sperimentare profondamente e veramente l’essenza della loro vita. Stanno cercando di rivitalizzare le loro vite, di risacralizzarle. Ammettiamolo, dal punto di vista biologico fattuale, non avevamo scelta per la vita. Se siamo qui non è perché abbiamo fatto qualcosa per essere qui. La nostra convinzione “spirituale” sulla natura dell’esistenza è tutta un’altra cosa. Infondere nella vita fisica il senso del sacro è una scelta, addirittura un atto di volontà. Dato che siamo qui, siamo liberi di cercare un significato, di capire il possibile “perché” di tutto ciò. L’irresistibile magnetismo della creazione di significato è ciò che ci eleva al di sopra della nostra vita puramente biologica e informa la nostra umanità. Ogni vita ha valore, ma solo noi, tra tutte le creature, decidiamo di scegliere consapevolmente come attribuire un significato alla nostra vita. Ciò presuppone che abbiamo scelto un quadro per spiegare il “perché”.

    Nella mia esplorazione del “perché” della vita, e come mezzo per sacralizzare la mia vita e scegliere di sviluppare me stesso consapevolmente, la mia scelta per un approccio “spirituale” è la tradizione andina. Questa scelta arriva dopo decenni di esplorazione, sperimentazione e pratica in altre tradizioni. Lo stesso potrebbe essere vero per te. Dalla prospettiva del quarto livello, seguire le “arti sacre” andine, come piace chiamare la tradizione a don Juan Nuñez del Prado, è un’esplorazione del nostro mondo interiore—senza che tale focalizzazione interiore sia un eccessivo assorbimento con sé stessi o una rifiuto del mondo esterno. Gran parte di ciò che conta nel mondo esterno è modellato e persino dipendente dallo stato del nostro mondo interiore.

    Nella cosmovisione andina, cerchiamo di conoscere noi stessi, chiamato kanay: sapere chi siamo veramente e, cosa più importante, avere il potere personale di vivere come chi siamo veramente. Il nostro approccio non è diretto verso l’esterno né attraverso pratiche stereotipate né incanalando il potere attraverso oggetti sacri. I rituali, le cerimonie e le connessioni soprannaturali sono meravigliose e ci sono buone ragioni per farlo, ma possono anche diventare una distrazione o addirittura una trappola. Ciò che conta è la nostra connessione con noi stessi, perché la qualità di tutto ciò che possiamo condividere con il mondo esterno è proporzionale alla qualità del nostro stato d`essere interiore. Come insegna la tradizione vedica, non siamo nel mondo, il mondo è in noi.

    Secondo la tradizione andina, il modo in cui interagiamo con il mondo dipende dalla qualità della nostra coscienza e dall`energia sami (energia leggera e vivente) che possiamo condividere attraverso i nostri ayni (i nostri scambi con l`universo vivente, compresi i nostri simili). Uno degli insegnamenti più profondi che ho ricevuto da don Juan Nuñez del Prado è che può esserci più potere nell’offrire un singolo k’intu che nel preparare e offrire un despacho elaborato. Il nostro lavoro più importante è invisibile: è diretto verso l’interno e tuttavia totalmente relazionale con il mondo esterno e con le altre persone. Lavoriamo all`interno in modo da connetterci in modo più autentico con ciò che è fuori, il più libero possibile dalla nostra pesantezza (specialmente la pesantezza creata attraverso le nostre proiezioni, illusioni, giudizi personali e simili).

    Questa esplorazione interiore si concentra sia sul “chi” che sul “perché” di noi stessi. Nella tradizione andina, l`Inka Muyu (Seme dell’Inka) è il depositario di tali informazioni e conoscenze. Si dice che il Seme dell’Inka sia la connessione alla nostra origine, che è con Dio, L`Inconoscibile, Il Tutto, Wiraqocha—o qualunque nome si dia alla forza non fisica che è il donatore del respiro originario (spirito) che dà la vita alla materia inanimata. Sotto un aspetto, i nostri Semi dell’Inka sono esattamente uguali: contengono tutte le capacità che un essere umano è capace di esprimere. Sotto un altro aspetto, non esistono due Inka Seeds uguali, poiché ciascuno dei nostri Semi dell’Inka costella queste capacità in modo diverso, in modo che ognuno di noi sia veramente unico nell`espressione della nostra umanità.

    Per me, quando si tratta del “perché” del nostro essere, c’è un “Grande Perché” e un “Piccolo Perché”. Il Grande Perché della nostra vita è il motivo per cui ognuno di noi è qui, in forma umana con le nostre sorprendenti capacità umane. Il Piccolo Perché, che a mio avviso è il più importante, è del tutto personale: è il “perché” delle nostre vite individuali, della nostra distinta espressione di questa umanità. È di questo Piccolo Perché che Barclay parla nella citazione di apertura, ed è questo Piccolo Perché che può avviarci alla ricerca di un “percorso spirituale”. Condividiamo lo stesso percorso comune e singolare: la vita. Ma abbiamo una straordinaria varietà di strutture che possono aiutarci ad accedere al potere personale per esprimerci individualmente e creare una vita che rifletta il nostro kanay.

    C`è una distanza quasi infinita tra la convinzione che non ci sia alcun significato nella vita e la convinzione che ciascuna delle nostre vite sia intrisa di un significato sacro. Don Juan e suo figlio, don Ivan, esprimono in modo molto poetico quest`ultima visione dicendo che ognuno di noi ha un posto distintivo nella creazione che nessun altro può riempire. Se non siamo consapevoli del motivo per cui siamo qui, se non conosciamo noi stessi e il nostro singolare kanay—e quindi non viviamo la nostra espressione individuale di qualunque cosa sia Dio—allora è come se ci fosse un buco nel tessuto della creazione. Non sono i primi a esprimere questa idea (altri, da Eileen Caddy alla dottoressa Suess, lo hanno detto), ma è un’idea che vale la pena ricordare ripetutamente: esiste uno, e solo uno, percorso spirituale—la tua vita. Ce n`è solo uno per ognuno di noi. Per sempre e per sempre e per sempre ci sarà sempre e solo uno di te. Che tu lo creda o no, che tragedia non vivere come se fosse vero!

    Tutto ciò può sembrare un cliché. Sei unico. Sei speciale. Dovresti prendere a cuore l`idea di quanto sei speciale e iniziare a comportarti di conseguenza. L`abbiamo sentito centinaia di volte, vero?

    Ebbene, sapere e fare sono due cose completamente diverse. Ecco perché il “fare” di vivere davvero la tua vita come te è così raro. Siamo abituati a essere chi gli altri pensano che dovremmo essere o chi pensiamo che loro pensino che dovremmo essere. Quando siamo insensati o sprezzanti riguardo al modo in cui modelliamo noi stessi non alla nostra interiore “verità di essere me” ma a ciò che gli altri apprezzano o preferiscono che siamo, ci disconnettiamo da noi stessi (il nostro Seme dell’Inka) e, quindi, dalle nostre vite. Come scrisse Shakespeare in Come vi piace: “Tutto il mondo è un palcoscenico, e tutti gli uomini e le donne sono semplicemente attori”. Questa è una citazione che tende a saltar fuori (in modo poco convinto) quando qualcuno vuole ricordarci che siamo tutti più o meno simili, semplicemente inventiamolo mentre andiamo avanti e viviamo le nostre finzioni, o anche le nostre delusioni, su noi stessi. E c`è del vero in questo. Ma, restando fedeli alle citazioni teatrali, possiamo anche vivere sul palcoscenico della vita come artisti creativi di noi stessi. Come ha detto il drammaturgo Lee Small, “Lo scopo del teatro è la trasformazione: creare un evento straordinario partendo da materiale ordinario proprio davanti agli occhi del pubblico”. Questo è lo scopo della vita come percorso spirituale: rivelare lo straordinario nella nostra stessa ordinarietà e poi non aver paura di mostrare il nostro sé straordinario al mondo.

    Non siamo solipsisti né coltiviamo una falsa grandiosità. E il nostro approccio certamente non è quello di prenderci troppo sul serio. È difficile essere creativi quando siamo eccessivamente seri, e la vita come percorso spirituale non riguarda altro che atti seriali di espressione creativa. Dal punto di vista andino, i paqo sono esseri che coltivano la loro gioia interiore. Quindi, per risacralizzare le nostre vite, trarremmo beneficio dal coltivare due sensibilità fondamentali: quella di pukllay, un senso di giocosità; e di tusuy, di prestazione. La vita è il nostro rituale. La vita è la nostra cerimonia. Piuttosto che trovare o scegliere un “percorso spirituale”, trattiamo la nostra vita come l’unico e solo percorso, dove ogni momento ordinario può essere permeato di un senso del sacro. La parola stessa “individuale” deriva dai significati radicali di indivisibile, inseparabile, uno, unificato. Per ognuno di noi, ogni intuizione nel nostro kanay individuale – in ciò che rende tu te stesso e me me stesso—diventa un modo per raccogliere con più amore gli aspetti disparati o rinnegati di noi stessi in un tutto realizzato.

    Tuttavia, quando si tratta di vivere effettivamente la vita come un percorso spirituale. . . beh, è più facile a dirsi che a farsi. Ti lascio con una citazione che ho appena trovato che è la conclusione perfetta di questo post di registro e ti ricorda che ayni non riguarda solo l`intenzione, ma l`azione.

    Da T.E. Lawrence I sette pilastri della saggezza:
    “Tutti gli uomini sognano; ma non allo stesso modo.
    Quelli che sognano di notte nella polvere
    i recessi delle loro menti si risvegliano durante il giorno
    per scoprire che era vanità; ma i sognatori
    del giorno sono uomini pericolosi, perché potrebbero
    mettere in atto i propri sogni ad occhi aperti, per farli diventare
    possibili.”

    (Immagine da Freepik)

  • Uccelli della coscienza

    Uccelli della coscienza

    UCCELLI DELLA COSCIENZA

    di Joan Parisi Wilcox; traduzione Gianmichele Ferrero – Dall`Archivio 11/05/2016

    “E vedi quanto sono belli e aggraziati gli uccelli quando volano e si librano in volo? Il terreno ha molti comfort per il loro divertimento. . . Ma nel cielo sono veramente ciò che dovrebbe essere un uccello. Così è per il cuore umano”.
    — Aleksandra Layland, scrittrice

    Gli uccelli sono metafore comuni per il rilascio dello spirito, per la liberazione di un`anima legata alla terra. C`è un uso simile di questa metafora nelle Ande, dove c`è uno spirito aiutante associato a molti livelli della coscienza umana. Secondo l`insegnamento di don Benito Qoriwaman, ci sono sette livelli di coscienza che possono manifestarsi negli esseri umani, anche se attualmente ne abbiamo manifestati solo quattro e stiamo aspettando con impazienza il quinto livello, che fa parte delle profezie che predicono l`ascesa della Nuova Umanità.

    Sebbene gli andini generalmente non lavorino con gli animali totem come fanno molti indigeni e nativi del Centro e Nord America, hanno un concetto di spirito alleato che include animali e uccelli. Esiste un tipo specifico di uccelli associati a uno specifico livello di coscienza e possono assisterti in almeno due modi nella tua crescita personale verso un livello di coscienza più elevato:

    1) Se hai già raggiunto quel livello di sviluppo cosciente, puoi scegliere di lavorare con l`uccello associato a quel livello come spirito guida, per saperne di più su quello stato di coscienza e continuare a svilupparti.

    2) Se non hai ancora raggiunto quel livello di sviluppo, puoi essere chiamato dall`uccello di quel livello. Se accetti quell`uccello come guida tutelare, ti aiuterà a crescere fino a quel livello di coscienza.

    Prima di discutere, anche se brevemente, i livelli di coscienza e di identificare l’uccello ad essi associato, è importante capire che tendiamo a scivolare avanti e indietro tra i livelli nella nostra vita quotidiana. Tendiamo a essere incoerenti nel nostro comportamento e nella nostra mentalità, che cambiano a seconda del contesto. Un po’ come la “persona” della psicologia – il volto che mostriamo al mondo per adattarci ed essere accettati – la nostra “coscienza vissuta” può dipendere dal contesto. Potremmo agire dal secondo livello al lavoro e dal quarto livello in chiesa. Potremmo scivolare nella coscienza di terzo livello nella nostra politica e ridiscendere al primo livello nella nostra relazione d`amore. In generale, tuttavia, cerchiamo di crescere e svilupparci salendo il qanchispatañan, la scala dei sette gradini dello sviluppo umano. Questa scala della coscienza inizia al livello zero, che è il piano terra da cui sali e raggiungi il primo gradino.

    Ecco i livelli di coscienza e gli uccelli ad essi associati. Queste sono descrizioni abbreviate di ogni livello, e mentre ogni livello ha i suoi aspetti leggeri e pesanti, la maggior parte della descrizione è focalizzata sugli aspetti pesanti, che sono quegli aspetti della personalità che ci impediscono di salire nel qanchispatañan, e quindi sono le aree su cui dobbiamo lavorare dentro di noi. È un esercizio prezioso per vedere su quale “passo” ti trovi nelle varie aree della tua vita (tendiamo a svilupparci a livelli diversi nelle varie aree della nostra vita). Se vuoi scalare il qanchispatañan, allora potresti prendere in considerazione l`idea di lavorare con lo spirito aiutante dell`uccello di quel livello. Gli spiriti degli uccelli sono puri sami e quindi possono sintonizzarci energeticamente e aiutarci a svilupparci.

    Il livello 0 è il modo in cui tutti noi arriviamo alla forma umana da bambini, dove non abbiamo il senso di un sé o di un’individualità separata, nessun “io”. Tuttavia, le persone potrebbero raggiungere il livello 0 più avanti nella vita. Le qualità del livello zero includono l`avere scarso senso di potere o autonomia personale, di seguire la folla o la maggioranza a scapito della possibilità di prendere una decisione o di trovare la propria identità. È la mentalità del gregge, dove preferisci ciò che preferiscono gli altri, cerchi di integrarti quasi ad ogni costo e ti senti più a tuo agio nel far parte di un gruppo. Nella sua espressione più pesante, questa è l`energia della folla. Nei suoi aspetti più positivi, può variare dall`identificazione quasi totale con un gruppo (un hippie, un gotico, un manifestante contro la guerra, un attivista ambientale, un cattolico, un umanista) all`estremo di essere immersi nella coscienza oceanica così profondamente da allontanarti dall`interazione umana o da rinunciare al mondo (il guru nella grotta). Non esiste alcun uccello associato a questo livello.

    Il 1° livello consente una maggiore autonomia, ma il tuo senso di sé è ancora fortemente influenzato dagli altri e il tuo bisogno degli altri ti rende dipendente. Questo comportamento include la codipendenza in tutte le sue forme. Sei particolarmente coinvolto in coloro che consideri figure autoritarie (medici, ministri, insegnanti) e fai affidamento su di loro (consciamente o inconsciamente) per dirigere il tuo pensiero, modellare il tuo sistema di credenze e formare il tuo senso di sé. Puoi avere la tendenza a prendere più di quanto dai, poiché non hai ancora una forte volontà o il potere personale per pensare di poter aiutare te stesso. Pensi di aver bisogno di un insegnante, di un leader o di una guida e, in questo senso, questo è il livello del feticcio. Qualunque forma assuma il feticcio (una persona, una religione, un`organizzazione, un ideale), se lo perdi o ti viene portato via, senti di aver perso il potere e la capacità di dirigere il proprio destino personale. Nelle Ande, l`uccello di primo livello è il killichu, un piccolo falco.

    Il 2° livello può essere inteso come l`adolescente (questo può essere applicato, come tutti i livelli, a un individuo, società, nazione o cultura). È il potere del “in gruppo” e della cricca. È la convinzione che “o sei per noi o contro di noi”. È un pensiero in bianco e nero, ma contiene anche l’elemento del pensiero di gruppo. Puoi mettere il tuo insegnante o la tua figura autoritaria su un piedistallo (adorazione dell`eroe), ma poi lamentarti della figura autoritaria o dell`insegnante alle sue spalle senza avere il coraggio di affrontare quella persona e dire la tua verità. Non è sicuro sconvolgere il tuo sistema di credenze o minacciare il tuo status intimo. Stai facendo uno sforzo per imparare, espanderti e crescere, ma potresti aggrapparti rapidamente a una verità a scapito di altre possibilità, perché sei meno aperto alle prove o alle domande. Questa mentalità “noi contro loro” può creare discordia e favorire la gelosia, incitare conflitti di ego e promuovere una competitività malsana. L`uccello andino associato a questo livello è il waman, il falco reale.

    Al 3° livello, hai più potere personale e autonomia, sei più aperto all’acquisizione di conoscenze diverse e tendi almeno ad ascoltare o considerare le opinioni di molti insegnanti e figure autoritarie. Tuttavia, alla fine tendi ad attaccarti o a identificarti con il potere di una tradizione a scapito di altre. Senti una connessione esclusiva e pensi di aver trovato la strada “giusta”; tutti gli altri sono sbagliati o fuorviati. Mentre le persone al livello due hanno una mentalità più di gruppo, le persone al livello tre hanno una mentalità più univoca, sebbene la “mente unica” sia attaccata a un gruppo specifico o a una particolare convinzione. È la visione del “C’è una sola verità e finalmente l’ho trovata”. Questo è il livello di coscienza più comune nel mondo al momento. Guida le agende religiose e politiche più comuni. Si manifesta come nazionalismo ostinato (la democrazia è il sistema migliore, gli Stati Uniti è il paese migliore), visioni ristrette della spiritualità (“X” è l’unica via per la salvezza) e affiliazione politica intensamente impegnata (i rabbiosi comunisti, socialisti, libertari, repubblicani, democratici). Molto spesso questa mentalità spinge a diventare il “salvatore” degli altri: gli altri non hanno ancora la verità e quindi occorre indicargli la strada. L`anka, o aquila, è l`uccello andino del terzo livello di coscienza.

    Al 4° livello, ti muovi verso quella che può essere chiamata la mentalità mistica: hai fiducia nella tua esperienza personale, hai la capacità di trascendere schemi simbolici e rituali e puoi superare i confini. Puoi trovare cause comuni e connessioni. Sviluppi un senso di armonia con te stesso e il cosmo. Puoi, ad esempio, sperimentare il potere della connessione con “Dio” in una chiesa, moschea, sinagoga, tenda indiana o grotta perché puoi guardare più in profondità delle apparenze esteriori, dei costrutti simbolici e delle dottrine particolari. Ti assumi la responsabilità della tua autonomia, in modo che a questo livello capisci che le figure autoritarie e gli insegnanti possono essere guide ma non possono risolvere i problemi per te: devi trovare le risposte attraverso la tua esperienza e intuizione personale. Un insegnante di quarto livello guida gli studenti ma lascia agli studenti totale libertà; non cercano seguaci, ma insegnano invece in modo che gli studenti possano andarsene e percorrere il proprio cammino. Mentre al quarto livello trovi la tua strada e vedi oltre i confini, questo non è un livello di coscienza del tipo “tutto va bene”. Scegli le tue convinzioni personali e hai opinioni, ma queste sono soggette a cambiare man mano che cambi tu. Difendi ciò in cui credi, ma non insisti che gli altri credano come te e non sminuisci o ostracizzi mai gli altri che hanno punti di vista diversi. Sei totalmente te stesso e permetti agli altri di essere totalmente se stessi. Il kuntur, o condor, è l`uccello andino del quarto livello.

    Al 5° livello, sei così in sintonia con la natura e hai acquisito un potere personale tale da poter spingere il kawsay a influenzare notevolmente il mondo materiale, soprattutto come guaritore. Questo è il livello delle abilità metaumane. È il livello del guaritore infallibile, che ha la capacità di curare ogni volta qualsiasi malattia o condizione. Questo è il livello del “miracolo”. Esempi di guarigione includono quelli che si trovano nella Bibbia nel Libro degli Atti, inclusa la resurrezione di persone dai morti. Al quinto livello puoi anche manipolare la materia in altri modi (come manifestare una pietra preziosa dal nulla) e superare i vincoli di tempo e spazio come li conosciamo (come teletrasportandoti o bilocandoti). Puoi muoverti in regni oltre le attuali leggi della fisica conosciute. L’uccello del quinto livello è il q’enti, il colibrì.

    Il 6° livello è quello del Seme dell’Inka e Taytanchis Ranti, dove diventi quasi l`equivalente del Dio del settimo livello. A questo livello di coscienza sei riconosciuto dagli altri come un essere umano illuminato, letteralmente come qualcuno che risplende. Questo è il potenziale divino dentro ognuno di noi, ma gli esseri di sesto livello vivono quel potere divino nel mondo umano. Sono “risvegliati”. Buddha e Gesù ne sono esempi. Non esiste alcun uccello associato a questo livello.

    La cosmovisione delle Ande non fornisce informazioni o una descrizione del 7° livello di coscienza, tranne per dire che questo è più di un livello di coscienza divina. È un livello in cui Dio è permeato di forma umana e gli esseri umani sono simili a Dio. Potrebbe anche essere ciò che accade agli esseri umani quando, nelle parole di Terence McKenna, evolviamo in modo tale da sperimentare una “esteriorizzazione dell’anima”. Non esiste alcun uccello associato a questo livello.

    (immagine di copertina da Freepik)

  • Tutto sul tuo Seme dell`Inka – parte 1

    Tutto sul tuo Seme dell`Inka – parte 1

    TUTTO SUL TUO SEME DELL`INKA – PARTE 1

    di Joan Parisi Wilcox; traduzione Gianmichele Ferrero – Post corrente 16/01/2024

    Nella tradizione mistica andina, la dinamica energetica essenziale è quella del qanchispatañan: la scala o percorso dei sette livelli della coscienza umana. In realtà sono otto passaggi, poiché iniziamo dal livello zero, quello del purun runa, o il sé naturale e non sviluppato che tutti noi siamo da bambini. Ci sviluppiamo fisicamente, psicologicamente, intellettualmente ed emotivamente, in modo tale da diventare sempre più consapevoli di noi stessi e sempre più agenti liberi di creare “chi siamo” da adulti. Anche se siamo modellati da molte forze esterne, come la famiglia, la cultura, l’ambiente e altro, parte del processo di sviluppo è la nostra capacità di autoregolamentarci: scegliere le nostre risposte a tutte queste influenze (cioè, se credi in libero arbitrio, cosa che molti scienziati contemporanei non fanno). Il modo in cui ci autoregoliamo ci colloca su una “scala” o “livello” del qanchispatañan.

    Mentre rimbalziamo da un livello all`altro sul qanchispatañan a seconda della nostra risposta a specifiche situazioni, eventi, interazioni e simili in tempo reale, possiamo generalmente identificarci come se avessimo raggiunto un certo livello di sviluppo nel nostro senso generale di sé, credenze , comportamenti e altre caratteristiche personali. Lo spazio mi impedisce di descrivere in dettaglio le qualità della coscienza a ciascun livello del qanchispatañan—sia quelle ritenute generalmente benefiche per il nostro funzionamento in modo sami (essendo in ayni, o reciprocità, in modo tale da sostenere il nostro benessere e quello delle persone con cui interagiamo) e quelli visti come potenzialmente dannosi e che quindi ci portano a produrre hucha, o energia pesante (mancanza di ayni tale che siamo più interessati al nostro benessere a scapito degli altri). Per saperne di più sul qanchispatañan, potete consultare il mio post “Uccelli della coscienza”, pubblicato l’11 maggio 2016. Tuttavia, ciò che è importante capire è che non possiamo dire di aver raggiunto un livello finché non tutte e tre le nostre capacità umane fondamentali—yachay (intelletto/pensieri), munay (amore sotto la nostra volontà) e llank`ay (azioni)—sono tutti sviluppati a quel livello.

    Il qanchispatañan è la mappa del nostro viaggio di crescita personale e ciò che stiamo cercando di sviluppare è l`Inka Muyu, o Seme dell’Inka. Inka si riferisce al sovrano maschio dell`Impero Inca, quindi potremmo tradurre Inka Muyu come Seme del Re. Per le donne, il termine sarebbe Qoya Muyu, o Seme della Regina, ma questo non è un termine che avete mai sentito usare, quindi userò il termine più comune di Seme dell’Inka, anche se lo uso in modo neutro rispetto al genere.

    Sebbene le dinamiche energetiche del Seme dell’Inka siano primarie nella nostra pratica della tradizione mistica andina, di cosa si tratta? Il resto di questo post risponderà a questa domanda da diversi punti di vista, alcuni esterni alla tradizione e altri interni ad essa. Innanzitutto, il Seme dell’Inka è una struttura energetica che si trova al centro del nostro corpo fisico e mistico.

    La tradizione insegna che abbiamo sette ñawi, o occhi mistici, ognuno dei quali è associato alle principali capacità umane. I quattro ñawi fondamentali

    si trovano nel tronco del nostro corpo. L`occhio del collo—il kunka ñawi—comprende le capacità di yachay (ragione e intelletto, soprattutto se sviluppati attraverso l`esperienza personale di prima mano) e rimay (l`integrità di come ci esprimiamo e di come comunichiamo la nostra esperienza e conoscenza personale). Sotto c`è il sonqo ñawi, l`occhio del nostro cuore. La connessione qui non è con il nostro cuore fisico ma con i nostri sentimenti, specialmente con Munay. Munay di solito viene tradotto come amore sotto la nostra volontà e si riferisce alla nostra capacità di fare la scelta di essere gentili, compassionevoli e amorevoli. Più in basso c`è il qosqo ñawi, l`occhio dell`ombelico o del ventre, che è il centro del nostro potere personale e delle khuyay, o passioni. La passione in questo senso si riferisce alla motivazione, a ciò che ci muove dall`intenzione all`azione. Khuyay è anche legato agli attaccamenti emotivi, a ciò su cui ci concentriamo e a cui scegliamo di relazionarci e al modo in cui lo facciamo in modi sani o malsani. Alla radice del nostro corpo c`è il siki ñawi, che è la sede sia della nostra atiy (la nostra capacità di agire nel mondo e i tempi delle nostre azioni) sia dei nostri impulsi, che sono gli aspetti mammiferi di noi stessi, inclusa la nostra base emozioni (come paura, dominio, competitività, difesa) e i nostri bisogni fondamentali di sopravvivenza (come cibo, riparo, procreazione, nutrimento o relazione).

    In secondo luogo, collochiamo il Seme dell’Inka al centro dell’interno e dell’esterno-di come mettiamo in relazione il nostro mondo interiore con il mondo esterno. Quindi, guardiamo per un momento fuori dal regno mistico per vedere cosa ci dice una visione della psicologia su questo aspetto del nostro sviluppo. Chris Allen, PhD, in Psicologia e Relazioni Umane, fornisce un utile resoconto dei processi che contribuiscono alla formazione di un senso olistico di sé dentro e fuori (nel mondo delle relazioni umane). Ciò che ha da dire si correla bene con i tre poteri umani universali, quindi inserirò tali poteri nella citazione. Ricorda, dobbiamo sviluppare tutti e tre i nostri poteri umani allo stesso modo per fare un passo avanti nel qanchispatañan. Allen scrive: “L’Io si vede innanzitutto come un attore incarnato nello spazio sociale [munay e ayni]; con lo sviluppo, tuttavia, viene ad apprezzarsi anche come fonte lungimirante di obiettivi e valori autodeterminati [llank`ay], e più tardi ancora, come narratore di esperienze personali, orientato al passato ricostruito e al futuro immaginato [yachay]. “Conoscere te stesso” in età adulta matura, quindi, significa fare tre cose: (a) apprendere ed eseguire con approvazione sociale i tratti e i ruoli che mi sono attribuiti, (b) perseguire con vigore e (idealmente) successo i miei obiettivi più importanti, e (c) costruire una storia sulla vita che trasmetta, con vividezza e risonanza culturale, come sono diventato la persona che sto diventando, integrando il mio passato come lo ricordo, il mio presente come lo sto vivendo, e il mio futuro come spero che sia”.

    Questo processo psicologico richiede che sviluppiamo come minimo diversi tratti fondamentali: livelli crescenti di autoconsapevolezza, una maggiore capacità sia di introspezione che di azione, un potenziato senso di autonomia personale, un uso raffinato della nostra volontà, un`attitudine ampliata sia di auto-critica e di auto- accettazione e di amore per sé stessi, sia di abilità di presentarsi al mondo con integrità.

    Tornando al viaggio mistico dello sviluppo, scopriremo che man mano che acquisiamo una crescente padronanza della nostra capacità di essere chi siamo in questo momento (kanay), aumentiamo contemporaneamente la nostra capacità di esprimere maggiormente il nostro potenziale. Quindi, in terzo luogo, possiamo pensare al Seme dell’Inka come a una sorta di campo di informazione che codifica al suo interno tutto ciò che è possibile per noi esprimere—la misura completa di ciò che significa essere un essere umano. Mentre lavoriamo per sviluppare consapevolmente noi stessi, possiamo pensare a ciascun livello del qanchispatañan come una crescente capacità di esprimere maggiormente le nostre capacità umane—di accedere ed esprimere maggiormente il nostro Seme dell’Inka. Il modo in cui mi piace descrivere questo processo evolutivo di sviluppo cosciente è che mentre saliamo sul qanchispatañan, non siamo migliori di quanto eravamo a un livello inferiore, siamo più di quanto eravamo.

    Fino a che punto possiamo svilupparci? Quanto ancora possiamo esserlo? Questo ci porta al quarto punto riguardo al Seme Inka—anch`esso codifica il nostro sé metafisico ed è equivalente al nostro Spirito. Nel momento in cui veniamo concepiti, siamo creati sia dal DNA dei nostri genitori sia dall’energia dello Spirito, o per comodità quello che chiamerò Dio. Come lo definisce don Juan, siamo una “Goccia del Mistero”. Letteralmente, qualunque cosa sia “Dio” o “Creatore”—tutto ciò che è—è mantenuto in potenziale all’interno del nostro Seme dell’Inka. Esprimo la promessa di questo aspetto della tradizione citando Sri Aurobindo, che fu lo sviluppatore dello Yoga integrale. Ha detto che noi esseri umani siamo dove “Dio-Spirito incontra Dio-materia” e “la divinità è nel corpo”. Attraverso il Seme dell’Inka, siamo letteralmente Dio-Spirito nella carne, poiché la tradizione mistica andina ci dice che la piena espressione della nostra umanità è esprimere capacità simili a quelle di Dio mentre siamo nel corpo e in questo mondo.

    Il fatto che siamo ranti (energeticamente equivalenti) a Dio è il motivo per cui il Seme dell’Inka è puro sami—è sempre e solo l`energia vivente della luce. Non ha hucha, o energia pesante. Il nostro Seme dell’Inka è sempre connesso e alimentato da un flusso di questa “energia divina” attraverso il pukyu, una piccola apertura energetica all’angolo della parte superiore della fronte. Quindi, il Seme dell’Inka è letteralmente sia un deposito sia una fonte dell’energia luminosa vivente dentro di noi. Come dice don Juan, è la nostra capacità di esprimere un giorno il nostro Dio Interiore. Se lo scegliamo, possiamo sviluppare noi stessi consapevolmente rimuovendo i nostri filtri e schermi (hucha) in modo da non bloccare l`energia luminosa vivente che scorre nel nostro Seme dell’Inka e nemmeno bloccare l`energia luminosa vivente che emerge dal nostro Seme dell’Inka. Ci permettiamo la piena misura del sami in modo da poter esprimere il nostro kanay—chi siamo veramente.

    Finché non esprimiamo la pienezza del nostro Seme dell’Inka, funzioniamo come una versione ridotta o parziale di noi stessi. Questo è ciò che significa karpay. Sebbene questa parola possa essere tradotta come “iniziazione”, significa più accuratamente quanto potere personale abbiamo a disposizione da utilizzare in un dato momento. Il potere personale comprende il nostro yachay, munay e llank’ay e la qualità di ciascuna di queste tre capacità umane fondamentali. Incrementare il qanchispatañan significa che abbiamo più capacità disponibili per il nostro uso e che ciascuna di queste capacità è più altamente sviluppata o raffinata. Quindi, per riassumere questo punto, un altro modo di comprendere il qanchispatañan è che la nostra posizione in esso rivela la misura del nostro potere, o karpay. Ad ogni passo avanti, abbiamo accumulato più potere personale; abbiamo aumentato il nostro karpay. Lo abbiamo fatto perché viviamo di più dal nostro Seme dell’Inka.

    Se raggiungiamo il nostro karpay completo, significa che siamo ascesi al sesto livello del qanchispatañan: esprimeremo perfettamente sia la nostra natura umana che la nostra natura divina. Saremo esseri umani “illuminati”. Ma manterremo comunque la nostra espressione unica del Sé, la nostra espressione unica come Goccia del Mistero. Ognuno di noi sarebbe un`espressione individuale dello stato illuminato. Buddha e Gesù erano entrambi considerati esseri umani illuminati—avevano i Semi Inka pienamente sviluppati – ma erano manifestazioni decisamente diverse dello stato di illuminazione, e non si può confondere l’uno con l’altro.

    Pertanto, non è troppo grandioso affermare che ciascuno di noi è un’espressione unica della Creazione. Nell`Islam, a Iman Ali è stato attribuito il merito di aver detto: “Ti consideri solo una forma gracile / Quando dentro di te l`universo è piegato?” Come ha detto don Juan, se non viviamo il nostro kanay—se non esprimiamo individualmente chi siamo veramente—allora stiamo lasciando la nostra parte della Creazione non realizzata. La metafora che uso è che ognuno di noi è un filo nell`arazzo della Creazione, e se non stiamo realizzando le nostre espressioni individuali del nostro Seme dell’Inka, allora stiamo lasciando dei buchi nel tessuto del Tutto.

    Come possiamo pensare che il Seme dell’Inka—questa minuscola struttura energetica—sia di così enorme importanza, da contenere al suo interno un potenziale così enorme? Per rispondere a questa domanda faccio il paragone con il DNA. Il DNA è una minuscola struttura energetica che costituisce un enorme campo di informazioni. Codifica all`interno di un contenitore fisico infinitesimale l`incredibile complessità del corpo e della psiche umana. Allo stesso modo, il Seme dell’Inka è una minuscola struttura energetica che codifica la sorprendente bellezza e potenza dell’espressione fisica e metafisica di noi stessi.

    Concluderò la Parte I di questa discussione ricordandovi due metafore fondamentali della tradizione andina—wachu e phutuy. Nella tradizione andina esiste il concetto del kawsay wachu, che può essere tradotto come “campo di energia vivente”. Un wachu è un solco in un campo in cui vengono piantati i semi. Per quelli di noi che utilizzano le tecniche della tradizione per sviluppare sé stessi e scalare il qanchispatañan, la metafora mostra come ognuno di noi sia un seme (Seme dell’Inka) piantato nel campo metafisico dell`energia vivente e nel regno materiale di Pachamama. Il nostro impulso, proprio come l’impulso di tutti gli esseri viventi in natura, è per phutuy—per la vita, per la crescita e, letteralmente in questa metafora, per “fioritura”. Stiamo cercando di far germogliare il nostro seme dell’Inka e di far crescere il nostro pieno potenziale. L’universo vivente fornisce il sami—il nettare o l’acqua—che nutre il nostro Seme dell’Inka attraverso il pukyu affinché possa fiorire: affinché possa germogliare, crescere e fiorire per rivelare ciascuno di noi in tutta la nostra gloria.

    Come ci impegniamo con il nostro Seme dell’Inka e stimoliamo la nostra crescita? Questo sarà l`argomento della seconda parte di questa discussione, che verrà pubblicata il mese prossimo. Qui vi lascio con una domanda tratta da “The Summer Day”, una poesia di Mary Oliver, che riunisce i punti espressi in questo post e fornisce un annuncio per ciò che verrà pubblicato nel post del mese prossimo: “Dimmi, cos`è pensi di fare / con la tua unica vita selvaggia e preziosa?”

    (immagine di copertina da Freepik)

  • La casa del Colibrì

    La casa del Colibrì

    LA CASA DEL COLIBRÌ

    Sono felice di dare l`annuncio che interesserà molto chi segue la Tradizione spirituale andina. Ho intrapreso una collaborazione con una delle più importanti e storiche guide e scrittrici del misticismo andino: Joan Parisi Wilcox.

    Joan Parisi Wilcox studia le arti spirituali del Perù dal 1993 e ha ricevuto iniziazioni e karpay dai Q`ero e di altri maestri andini. Pratica la tradizione mistica andina da ventisette anni, principalmente sotto la guida di Don Juan Ñunez del Prado. E` stata intervistata in film documentari sulla tradizione e ha scritto numerosi articoli su riviste su aspetti della tradizione.
    Rimarchevoli sono I due libri che costituiscono pietre miliari: “Masters of the Living Energy”, 2004, Inner Traditions, Edizione rivista di Keepers of the Ancient Knowledge e “Ayahuasca”, 2003, Park Street Press
    La sua passione è condividere gli insegnamenti dei paqo andini con la massima integrità possibile rispetto alla loro forma originale, pur riconoscendo che dobbiamo adattare il loro utilizzo ai nostri tempi e alla nostra cultura moderni.
    Vive nella Carolina del Nord.

    Personalmente seguo con grande interesse il blog di Joan fin dal 2015: Q`enti Wasi – House of the Hummingbird, in italiano Casa del Colibrì (https://qentiwasi.com/). I suoi post costituiscono una memoria storica e una fonte di informazione ricca, unica e considerevole.
    Poichè per chi non conosce l`americano potrebbe risultare difficile la comprensione delle pubblicazioni, ho pensato di tradurre i suoi scritti in italiano e pubblicarli sul sito web di Liberi Viandanti. Joan ha appoggiato il mio progetto.
    Lei pubblica i suoi post sulla sua pagina da quasi nove anni. Insieme abbiamo deciso di tradurre i post attuali e nuovi a partire da gennaio 2024.
    A partire da metà mese circa sul sito web di Liberi Viandanti (https://www.liberiviandanti.it/) e con cadenza mensile troverete il blog Q`enti Wasi che sarà lo specchio sincronico di quello originale americano di Joan.
    Intervallati tra i post attuali, tradurrà anche post precedenti del blog degli anni passati, eventualmente presentati in forma leggermente modificata per mano di Joan stessa. Per identificarli, i post attuali recheranno la nota [Post corrente, data] e i post precedenti la nota [dagli Archivi, data]
    È importante sapere che ho scelto di mantenere le parole quechua così come sono scritte nel blog di Joan per essere fedele ai suoi scritti, senza adattarne alcune all`italiano parlato come ho riportato nel dizionario del mio libro “Kausay Puriy, la danza dell`Ayni” pubblicato nel novembre 2023
    (vedere https://ilmiolibro.kataweb.it/libro/saggistica/668252/kausay-puriy-la-danza-dellayni/)
    I termini quechua usati Joan si basano sul dizionario dell`Academia Mayor del la Lengua Quechua, Muncipalidad del Qosqo, 1995.

    Arrivederci fra pochi giorni in queste pagine.
    Gianmichele Ferrero in cooperazione con Joan Parisi Wilcox